Antiqua et nova
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La nota sul rapporto tra intelligenza artificiale e intelligenza umana, prodotta dal Dicastero per la Dottrina della Fede e dal Dicastero per la Cultura e l’Educazione e approvata dal Sommo Pontefice Francesco, fornisce, tra l'altro, una definizione teologica di intelligenza che ritengo utile confrontare e contrastare con un approccio scientifico. Ciò che segue è un estratto di tale nota sul concetto di intelligenza e non rappresenta un avallo delle opinioni espresse.
L’intelligenza è nulla senza il diletto. Paul Claudel
La tradizione cristiana ritiene il dono dell’intelligenza un aspetto essenziale della creazione degli esseri umani a immagine di Dio.
La Chiesa incoraggia i progressi nella scienza, nella tecnologia, nelle arti e in ogni altra impresa umana, vedendoli come parte della collaborazione dell’uomo e della donna con Dio nel portare a perfezione la creazione visibile. Come afferma il Siracide, Dio ha dato agli uomini la scienza per essere glorificato nelle sue meraviglie.
Alla base di questi come di molti altri punti di vista sull’argomento, vi è l’assunto implicito che la parola intelligenza vada usata allo stesso modo sia in riferimento all’intelligenza umana che all’IA. Tuttavia, ciò non sembra riflettere la reale portata del concetto. Per quanto attiene all’essere umano, l’intelligenza è infatti una facoltà relativa alla persona nella sua integralità, mentre, nel contesto dell’IA, è intesa in senso funzionale, spesso presupponendo che le attività caratteristiche della mente umana possano essere scomposte in passaggi digitalizzati, in modo che anche le macchine possano replicarli.
Nella tradizione classica, il concetto di intelligenza è spesso declinato nei termini complementari di ragione (ratio) e intelletto (intellectus). Non si tratta di facoltà separate, ma, come spiega san Tommaso d’Aquino, di due modi di operare della medesima intelligenza: «il termine intelletto è desunto dall’intima penetrazione della verità; mentre ragione deriva dalla ricerca e dal processo discorsivo. Questa sintetica descrizione consente di mettere in evidenza le due prerogative fondamentali e complementari dell’intelligenza umana: l’intellectus si riferisce all’intuizione della verità, cioè al suo coglierla con gli occhi della mente, che precede e fonda lo stesso argomentare, mentre la ratio attiene al ragionamento vero e proprio, vale a dire al processo discorsivo e analitico che conduce al giudizio. Insieme, intelletto e ragione costituiscono i due risvolti dell’unico atto dell’intelligere , operazione dell’uomo in quanto uomo.
Il pensiero cristiano considera le facoltà intellettuali nel quadro di un’antropologia integrale che concepisce l’essere umano come un essere essenzialmente incarnato. Nella persona umana, spirito e materia non sono due nature congiunte, ma la loro unione forma un’unica natura. In altri termini, l’anima non è la parte immateriale della persona contenuta nel corpo, così come questo non è l’involucro esterno di un nucleo sottile e impalpabile, ma è tutto l’essere umano ad essere, allo stesso tempo, sia materiale che spirituale. In questo modo, le capacità intellettuali dell’essere umano sono parte integrante di un’antropologia che riconosce che egli è unità di anima e di corpo.
Sebbene i sistemi avanzati possano imparare attraverso processi quali l’apprendimento automatico, questa sorta di addestramento è essenzialmente diverso dallo sviluppo di crescita dell’intelligenza umana, essendo questa plasmata dalle sue esperienze corporee: stimoli sensoriali, risposte emotive, interazioni sociali e il contesto unico che caratterizza ogni momento. Questi elementi modellano e formano il singolo individuo nella sua storia personale. Al contrario, l’IA, sprovvista di un corpo fisico, si affida al ragionamento computazionale e all’apprendimento su vasti insiemi di dati che comprendono esperienze e conoscenze comunque raccolte da esseri umani.
Gli esseri umani sono ordinati dalla loro stessa natura alla comunione interpersonale, avendo la capacità di conoscersi reciprocamente, di donarsi per amore e di entrare in comunione con gli altri. Pertanto, l’intelligenza umana non è una facoltà isolata, bensì si esercita nelle relazioni, trovando la sua piena espressione nel dialogo, nella collaborazione e nella solidarietà. Impariamo con gli altri, impariamo grazie agli altri.
Il Concilio Vaticano II afferma che l’essere umano per sua intima natura è un essere sociale e senza i rapporti con gli altri non può vivere né esplicare le sue doti. Questa convinzione evidenzia che la vita in società appartiene alla natura e alla vocazione della persona. In quanto esseri sociali, gli esseri umani cercano relazioni che comportano uno scambio reciproco e la ricerca della verità, con la quale, allo scopo di aiutarsi vicendevolmente nella ricerca, gli uni rivelano agli altri la verità che hanno scoperta o che ritengono di avere scoperta. Una tale ricerca, insieme ad altri aspetti della comunicazione umana, presuppone l’incontro e il mutuo scambio tra persone che recano in sé l’impronta delle proprie storie, dei propri pensieri, convinzioni e relazioni.
Così come alcuni vorrebbero un Cristo puramente spirituale, senza carne e senza croce, si pretendono anche relazioni interpersonali solo mediate da apparecchi sofisticati, da schermi e sistemi che si possano accendere e spegnere a comando. Nel frattempo, il Vangelo ci invita sempre a correre il rischio dell’incontro con il volto dell’altro, con la sua presenza fisica che interpella, col suo dolore e le sue richieste, con la sua gioia contagiosa in un costante corpo a corpo. L’autentica fede nel Figlio di Dio fatto carne è inseparabile dal dono di sé. Papa Francesco
L’intelligenza umana è in definitiva un dono di Dio fatto per cogliere la verità. Nella duplice accezione di intellectus-ratio, essa rende la persona in grado di attingere a quelle realtà che superano la semplice esperienza sensoriale o l’utilità, in quanto il desiderio di verità appartiene alla stessa natura dell’uomo. È una proprietà nativa della sua ragione interrogarsi sul perché delle cose. Andando oltre i limiti dei dati empirici, l’intelligenza umana può conquistare con vera certezza la realtà intelligibile.
Dato che l’IA non possiede la ricchezza della corporeità, della relazionalità e dell’apertura del cuore umano alla verità e al bene, le sue capacità, anche se sembrano infinite, sono incomparabili alle capacità umane di cogliere la realtà. Da una malattia si può imparare tanto, così come si può imparare tanto da un abbraccio di riconciliazione, e persino anche da un semplice tramonto. Tante cose che viviamo come essere umani ci aprono orizzonti nuovi e ci offrono la possibilità di raggiungere una nuova saggezza. Nessun dispositivo, che lavora solo con i dati, può essere all’altezza di queste e di tante altre esperienze presenti nelle nostre vite.
All’interno di alcuni circoli di scienziati e futuristi, si respira un certo ottimismo a proposito delle potenzialità dell’intelligenza artificiale generale (AGI), una forma ipotetica di IA che potrebbe raggiungere o superare l’intelligenza umana in grado di portare a progressi al di là di ogni immaginazione. Alcuni ipotizzano addirittura che l’AGI sarebbe capace di raggiungere capacità super-umane. Man mano che la società si allontana dal legame con il trascendente, alcuni sono tentati di rivolgersi all’IA alla ricerca di senso o di pienezza, desideri che possono trovare la loro vera soddisfazione solo nella comunione con Dio.
La presunzione di sostituire Dio con un'opera delle proprie mani è idolatria, dalla quale la Sacra Scrittura mette in guardia. Inoltre, l’IA può risultare ancora più seducente rispetto agli idoli tradizionali: infatti, a differenza di questi che hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non odono, l’IA può parlare, o, almeno, dare l’illusione di farlo.
Invece, occorre ricordare che l’IA non è altro che un pallido riflesso dell’umanità, essendo prodotta da menti umane, addestrata a partire da materiale prodotto da esseri umani, predisposta a stimoli umani e sostenuta dal lavoro umano. Non può avere molte delle capacità che sono specifiche della vita umana, ed è anche fallibile. Per cui, ricercando in essa un “Altro” più grande con cui condividere la propria esistenza e responsabilità, l’umanità rischia di creare un sostituto di Dio. In definitiva, non è l’IA a essere divinizzata e adorata, ma l’essere umano, per diventare, in questo modo, schiavo della propria stessa opera.
L’IA dovrebbe essere utilizzata solo come uno strumento complementare all’intelligenza umana e non sostituire la sua ricchezza. Coltivare quegli aspetti della vita umana che vanno oltre il calcolo è di cruciale importanza per preservare una autentica umanità, la quale sembra abitare in mezzo alla civiltà tecnologica, quasi impercettibilmente, come la nebbia che filtra sotto una porta chiusa.