Intelligenza
Dove ci chiediamo cosa intendiamo per intelligenza
Propongo di considerare la domanda: le macchine possono pensare? Alan Turing, 1950
Se anche le macchine possono pensare, allora noi chi siamo? Nello Cristianini, 2024.
Le domande nella scienza contano almeno quanto le risposte, e non c’è domanda più importante di questa per una specie animale che si fregia del titolo di Homo sapiens: le macchine possono pensare? È probabile che il significato di pensare evolverà come si è evoluto il significato di volare, per includere gli aeroplani o le mongolfiere.
Turing, quando si pose la domanda nel 1950, si stava chiedendo chi siamo e se siamo veramente destinati a un ruolo privilegiato in virtù delle nostre capacità intellettuali, che ci piace considerare superiori a quelle di chiunque.
Ma che cos è l'intelligenza? L'essere umano possiede diverse forme di intelligenza, che si manifestano in modo complementare e interconnesso:
Intelligenza razionale. È la capacità di pensare in modo logico, analitico e deduttivo. Si basa sulla ragione, sull'elaborazione consapevole delle informazioni e sulla risoluzione di problemi in modo strutturato. È il dominio della mente, della logica e della conoscenza esplicita, ed è quella su cui la società moderna ha costruito gran parte del suo sistema educativo e lavorativo.
Intelligenza emotiva. Riguarda la capacità di riconoscere, comprendere e gestire le proprie emozioni e quelle altrui. È strettamente legata all'empatia, alla comunicazione interpersonale e alla regolazione emotiva. Un individuo con alta intelligenza emotiva sa leggere i segnali emotivi delle persone, autoregolarsi nei momenti difficili e costruire relazioni sane e armoniose.
Intelligenza istintuale. È la forma più arcaica di intelligenza, radicata nei processi biologici e nella nostra natura animale. È la capacità di percepire il pericolo, di adattarsi rapidamente a situazioni impreviste e di prendere decisioni immediate basate sull'istinto. Coinvolge il corpo, l'intuizione e l'energia vitale, spesso operando al di sotto della soglia della coscienza razionale.
Nel 1991 l’ingegnere americano James Albus definì l’intelligenza come:
La capacità di un sistema di agire in modo appropriato in un ambiente incerto, dove le azioni appropriate sono quelle che aumentano le probabilità di successo.
C'è un malinteso di fondo negli obiettivi dell'IA: lo scopo ultimo di un agente intelligente è simulare l'intelligenza umana o una intelligenza universale (superiore a quella dell'uomo)? Tra i molti miti che hanno confuso la discussione sulle macchine intelligenti, uno è particolarmente insidioso: che gli umani siano dotati di una sorta di intelligenza universale, così che non ci siano abilità mentali in natura – e forse nemmeno in teoria – al di là delle nostre.
Non esiste alcuna legge, matematica o fisica, secondo cui le nostre capacità debbano rappresentare il pinnacolo dell’intelligenza. Anzi, ci sono vari motivi per ritenere che non lo siano, o che non lo saranno a lungo. In altre parole, è possibile che qualche macchina raggiunga prestazioni sovrumane in una serie di compiti in cui noi oggi siamo imbattibili. Turing pensava che questo sarebbe stato inevitabile, quando nel 1951 disse alla BBC:
Sembra probabile che, una volta iniziato il metodo delle macchine pensanti, non ci vorrebbe molto per superare le nostre deboli capacità.
Ci sono molti modi in cui l’intelligenza delle macchine potrebbe superare la nostra. La macchina può accedere a quantità di esperienza (ovvero dati), memoria e capacità di calcolo sovrumane. Inoltre, la macchina non è obbligata a dipendere dalle stesse premesse da cui dipendiamo noi: l'uomo assume che il mondo contenga oggetti solidi in tre dimensioni, che interagiscono mediante contatto e che hanno delle proprietà ben precise. Questa conoscenza di base ci aiuta, ma al contempo ci limita: per esempio, non riusciamo a comprendere il mondo quantistico, in cui gli oggetti non hanno posizioni precise, né traiettorie chiare. Non c’è ragione per cui le macchine debbano partire dagli stessi presupposti, e questo potrebbe consentire loro di scoprire relazioni utili che a noi sfuggono.
È possibile che le macchine comprendano cose che noi non potremo mai capire? Saremo in grado di controllare un’entità più intelligente di noi?
Apprendimento e comportamento intelligente sono possibili solo in un piccolo insieme di mondi possibili, un’osservazione che ha portato alcuni filosofi a chiedersi perché ci troviamo a vivere in uno di questi. Una risposta possibile è che se ci poniamo questa domanda è proprio perché viviamo in uno di questi rari mondi possibili: finché c’è un’entità intelligente che lo guarda, il suo mondo deve essere uno di quei pochi che sono predicibili, ovvero ammettono intelligenza e apprendimento nei suoi abitanti. Questa tautologia è nota ai filosofi della scienza come il principio antropico.
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